Esercizio per riconoscere i presupposti in base ai quali agiamo automaticamente

1. su una colonna scrivere un dialogo conflittuale in cui siamo stati coinvolti: ciò che dice l’interlocutore, ciò che rispondiamo, ciò che dice l’interlocutore, ciò che rispondiamo e così via.
Es:
• io: sei ancora in ritardo
• lui: c’era traffico, scusa, c’era traffico
• io: dovevi arrivare puntuale, potevi uscire prima, lo sapevi che era importante
• lui: sono uscito prima ma il traffico era davvero tanto, e poi cosa cambia per 10 minuti?
• io: …
• lui: …
• …

2. quando avete completato il dialogo, su un’altra colonna scrivere i pensieri che non avete espresso durante il dialogo ma che hanno dato forma alle vostre emozioni e al vostro tono.
Es:
non gli importa di me, non mi rispetta, non ha capito che era importante arrivare qui in tempo, mi sta raccontando le solite bugie, si scusa tanto per dire ma non gliene importa nulla, mi sta prendendo in giro …

3. Trasformare i pensieri in domande (vere: curiose, non retoriche e divertite dallo spiazzamento, espresse con un tono congruente per sincero interesse ).
Es:
sei in ritardo perché non ti importa di me? Ti avevo spiegato male che secondo me era importante arrivare in tempo? Mi stai facendo uno scherzo? Ho l’impressione che tu mi stia dicendo una bugia, è così? …

Martin Buber ha scritto che i conflitti spesso nascono perché le persone non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono.
Ho l’impressione che questo accada perché spesso le persone non si accorgono di ciò che pensano.

L’esercizio qui presentato ha proprio lo scopo di riconoscere i pensieri a cui reagiamo.
Una volta riconosciuti è possibile esprimerli attraverso una domanda che, insieme all’interlocutore, ci ponga di fronte ad essi, in modo da non assumerli automaticamente come realtà e in modo da negoziare con l’interlocutore i presupposti in base ai quali comprendere le comunicazioni che ci scambiamo.

Con questo esercizio si guadagna una posizione straniera rispetto ai presupposti che davamo per scontati e in cui ci identificavamo.
E’ una posizione libera, per questo fonda l’etica delle relazioni sia con se stessi che con gli altri.