Appunti da “La nave che affonda”
di Franco Basaglia & Co.
Basaglia spiega come la professione psichiatrica inganni tutti, internati e normalizzati, nascondendo la sofferenza e la sua vera natura.
Basaglia rifiuta tutta l’organizzazione della sofferenza classificata-istituzionalizzata-razionalizzata che non permette a chi soffre di conoscere e trasformare ciò che lo rende sofferente.
Chi si normalizza esce dal ruolo di emarginato per rientrare nel mondo dei drogati.
Chiudendo il manicomio, il problema ritorna a dover essere risolto a livello sociale, invece che ‘risolto’ con il controllo dello Stato e l’illusione della gente produttiva.
Il politico e il terapeutico sono le due facce della stessa medaglia psichiatrica.
- La psichiatria è controllo invisibile perchè sanziona attraverso il pregiudizio un comportamento anomalo, e dunque è un punto forte della struttura sociale.
Ma è anche un punto debole perché l’azione pratica smaschera facilmente il pregiudizio dimostrando che gli internati possono vivere nella società.
La diagnosi neutralizza la follia, razionalizzandola in disturbo mentale giustifica il sequestro nell’istituzione e le sottrae valenza politica
-> la preoccupazione della gente produttiva rispetto ai manicomi si riduce a non caderci dentro
-> la gente, valutandosi rispetto agli internati, si illude di essere attiva, vitale, in salute, e di ‘poter’ consumare
-> il manicomio risponde alle esigenze regressive della gente che vuole rinunciare alla propria libertà.
- Nel momento in cui la protesta non viene più interpretata come sintomo, diviene l’elemento vitale per la trasformazione.
La professione psichiatrica in seno all’istituzione manicomiale è ‘affondata’, resta il mare tumultuoso in cui dobbiamo affrontare la vita, non la malattia o la salute.
La liberazione non è un percorso individuale o teorico, è un’azione da fare insieme nelle pratiche sperimentando soluzioni condivise.
. Se è il “bravo psichiatra” a liberare il matto fa sì che questo, identificandosi con lo psichiatra, si normalizzi => falsa liberazione (ragione del mio ribrezzo di al film “Attimo fuggente”).
. Se il matto uccide, pensare che l’abbia fatto perché è folle deresponsabilizza tutti, sarebbe ‘ideologia della follia’.
- L’esperienza politica ha permesso agli internati di riprendere parola al di fuori della lingua degli psichiatri, di riabilitare il loro sapere che resiste al potere, e di opporre la propria particolarità al discorso generale della scienza.
Primato della pratica per la trasformazione: il professionista è un deterrente per la trasformazione, mentre l’internato è la voce di chi trasformerebbe -> manca il codice per esprimere a priori, teoricamente, questa trasformazione.
Alla domanda “se i matti escono dai manicomi, chi li prende in carico?”, B risponde “quando la donna si libererà, chi la prenderà in carico?”. => B postula una nuova situazione, una nuova dinamica, un nuovo modo di affrontare il problema.
Nella psichiatria tradizionale la comunicazione è qualcosa da decifrare. Basaglia non tenta di interpretare i significati, ma di vivere la comunicazione e di creare le condizioni perché questo potesse avvenire: o etichetto una persona in sindromi psichiatriche, oppure considero cosa vuole questa persona e per farlo devo vedere quanto conta per me e che rapporto di potere ho con lei.
Es: Un paziente che entra in un bar e paga esercita un potere contrattuale che gli dà la possibilità di entrare in rapporto con l’altro.
Per la mancanza di potere contrattuale politico alla persona disturbata sono impediti proprio quei rapporti sociali che costituiscono l’obiettivo.
L’oppressione dell’internato è dovuta proprio al fatto di non partecipare al sapere del tecnico.
Impedire la razionalizzazione dell’emarginazione, mantenendo un’attenzione viscerale a ciò che rende tutti nel complesso vitali: gradualmente insieme all’internato cominciamo ad affrontare tutto quello che comprendiamo sull’oppressione perdendo finalmente il nostro privilegio e il nostro ruolo di produttori di ideologie.
Proprio quando scatta il momento della pratica reale, viene fuori chi vuole privilegio e chi lo rifiuta.
Il lavoro è di un gruppo che si prende carico di un determinato problema, dunque non ha senso che il critico ‘puro’ parli di errori individuali.
. “Errore” cambia significato: l’essenziale è considerare se in ogni momento le scelte che facevamo stavano o meno dalla parte degli oppressi.
. “Curare” implica che l’altro possa esprimersi anche in rottura (es: che si ubriachi).
. Troviamo la nostra identità nella vitalità degli altri, e allora passiamo dalla loro parte.