Accogliere lo straniero per liberarsi


Accogliere lo straniero non può essere che andargli incontro fino ad oltre i confini dei miei presupposti, in modo di farmi straniera rispetto ad essi.

Accoglierlo non significa chiedergli di assimilarsi, altrimenti diventerebbe per me invisibile insieme ai miei automatismi, e lo costringerei a conformarsi come faccio con me stessa, senza scegliere, automaticamente, sulla base di presupposti invisibili.

Incontro lo straniero, lo vedo, nella relazione in cui entrambi stranieri negoziamo i presupposti dei nostri scambi.

Per questo lo straniero è una risorsa per me, mi invita ad essere libera, aiutandomi a vedere da cosa liberarmi.

La stranieritudine dalla propria cultura (non la sua negazione) è la posizione da cui è possibile l’incontro umano, in cui è possibile trovare la propria identità.

Per questo lo straniero è una risorsa per me, mi permette, incontrandolo senza automatismi, di ritrovare identità.

Solo da una posizione straniera posso accorgermi e godere pienamente del mio potere di scelta, della mia responsabilità.

La sensazione di potere è il godimento della propria responsabilità.